L'ARTE RACCONTATA AI COMPAGNI |
La bellezza di Worringer . 2017
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Traccia sull'imitazione e l'astrazione
Dopo avervi fornito in premessa questo provvidenziale compendio, riprendiamo il brogliaccio con i nostri appunti - infinitamente meno risoluti e più che altro problematici.
Tuttavia, come la forma denaro, lavoro o merce, hanno dovuto attendere l’epoca del loro pieno sviluppo concreto per essere comprese dal punto di vista scientifico, così anche diverse polarità da sempre presenti nell’arte hanno dovuto attendere il proprio concreto sviluppo prima di definirsi in categorie estetiche del tutto moderne quali astrazione (geometrizzazione) e mimesi (imitazione, empatia ecc.).
Per farla breve l’impulso empatico e il piacere che lo accompagna porta a riprodurre forme e oggetti diversi da noi nei quali immedesimare noi stessi.[3]
Il bisogno di empatia è connesso con l’imitazione delle forme naturali, organiche e vive, mentre l’impulso all’astrazione apparterrebbe ad uno stadio più primitivo.
I due impulsi naturalmente sarebbero compresenti, ma nell’epoca primitiva prevarrebbe l’astrazione e solo con la familiarità e la conoscenza dei fenomeni si farebbe avanti l’attitudine empatica (imitativa, mimetica) nella produzione artistica. E qui, per noi, è interessante l’osservazione per la quale solo dopo lo sviluppo millenario della produzione artistica, orientata esteticamente dall’empatia verso la riproduzione mimetica delle forme naturali e organiche, il primitivo impulso all’astrazione
Non meno interessante è l’accostamento di istinto e conoscenza, per cui il primitivo impulso di astrazione risponderebbe ad una necessità elementare priva di conoscenza e intelletto
C’è in tutto questo un pensiero che ci sembra avvicinarlo in qualche modo alla mente bicamerale di Jaynes [8], tanto più quando, nella risposta allo smarrimento di fronte alla fantasmagoria dei fenomeni in cui si trova immerso l’uomo primitivo, leggiamo che
Forse, dopo ciò potremmo arrivare a dire che l’attuale sviluppo delle forze sociali ha di fatto ricompattato la specie umana in “una massa indifferenziata” (come abbiamo visto nella parziale rassegna), che ritrova quell’istinto di astrazione ad un livello di conoscenza superiore, tale da rendere empatiche (dunque godibili esteticamente) anche le forme della massima astrazione, nelle quali ora può riconoscere sé stesso avendole in sé stesse riconosciute [10]. Abbiamo visto come oramai i luoghi per eccellenza deputati da sempre a ospitare solamente le somme opere dell’arte occidentale, come i musei nazionali, sempre più ospitano tutto ciò che la nostra società produce e può riprodurre in immagine; vi troviamo mostre di fotografie documentale, mostre scientifiche, cicli di opere cinematografiche, mostre di oggetti industriali ecc. E lo stesso è avvenuto da decenni in famose gallerie d’arte private, nelle cui sale si è assistito al lavoro di artisti visuali che proponevano lavori svolti con tutti i possibili mezzi di comunicazione: con la voce e la musica, il corpo, le pellicole cinematografiche e i video, ecc. [12], o con l’adozione di concetti scientifici (quasi si fosse compiuta, dopo la morte dell’arte anche il pronostico hegeliano della risoluzione dell’arte nell’Idea). Abbiamo iniziato questa parte parlando di immagini e di specchi (che tra l’altro hanno avuto un ruolo rilevante nello sviluppo della pittura fiamminga dell’epoca rinascimentale), e vogliamo chiuderlo riportando una parabola raccontata del mistico sufi Rûmî.
E’ un apologo dell’XImo secolo che sembra fatto su misura per comprendere almeno alcuni aspetti dell’arte contemporanea occidentale [14]; che ci mostra inoltre un modo dispendioso di energia immaginativa messo a confronto con una modalità che impiega solo l’energia indispensabile a raggiungere lo scopo [15] - data la luce e sali d’argento...? Altri sentieri di narrazione ± Abbiamo detto dei manuali di storia dell’arte...L’origine dell’arte (per come viene oggi comunemente intesa) si trova forse nelle figure o nei cicli rupestri delle grotte paleolitiche? Poiché proprio così iniziano molte autorevoli, ed autorizzate, narrazioni della storia dell’arte, noi iniziamo subito dubitandone. In diverse di queste storie sembra attribuirsi a dipinti e graffiti preistorici una ragione legata ad attività propiziatoria della caccia, se non addirittura a rituali di magia iconica. Si parte cioè anche stavolta non solo da una cosa bella e pronta come il pensiero magico, ma lo si antepone agli atti fonetici e/o atti iconici; come se una visione unitaria del mondo e una tecnica per influenzare i fenomeni fisici tramite la volontà si trovassero già preformate in natura, quasi un dato genetico dell’organismo, presente ancor prima che vi fosse comunicazione tra gli organismi della stessa specie... Le rappresentazioni paleolitiche di scene di caccia sarebbero delle rappresentazioni di futuro solo immaginato piuttosto che di passato e di cui si è avuta esperienza reale e diretta?...[16] ± Il pensiero magico è probabile sia stato un'elaborazione successiva alla dotazione di un linguaggio sufficientemente sviluppato e già capace di arrivare a descrivere alle piccole comunità primitive una interpretazione magica del mondo esteriore tale da potersi condividere... Non si tratta di una semplice risposta reattiva alle paura del manifestarsi di fenomeni naturali di cui non si conoscono le cause (il cane di Darwin che vedeva muoversi l’albero per il vento), ma di costruire (nel tentativo di conoscere) un sistema di leggi che li governerebbero, prima arrivare ad immaginare di provvedere ad influenzare la realtà di questi fenomeni per mezzo di una loro riproduzione (mentale e/o sensibile) e così controllarla (o tentare di controllarla) praticamente... ± L’amigdale sembra aver avuto principalmente la funzione di esercitare l’abilità della mano; ma in questo esercitare l’abilità della mano si esercitava al contempo l’affinamento dell’abilità dell’occhio, la capacità visiva, i sensi del tatto e della vista e la loro coordinazione (fare – vedere, fare con un progetto – antevedere il risultato da raggiungere)... ± Atto fonetico e atto iconico – all’inizio anche essi sono fusi e procedono assieme...[17] (fenomeno della convergenza, paesaggio epigenetico, canalizzazione, derive).[18] – >
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± La pittura nelle caverne paleolitiche non dovrebbe considerarsi come Arte ma come mera 'indicazione' dell'oggetto - ancora senza un nome - in un comunicare muto, estremamente silenzioso e sottinteso... efficace a raccogliere e tenere uniti, in un luogo fisico speciale, individui guardinghi l'un l'altro per istruirli a raggiungere assieme determinati scopi superiori alla capacità dei singoli... (coalizzarli per caccia, raccolta e produzione) ... Inizialmente l'atto grafico non ha ancora una propria autonomia, ma appartiene ed è ancora saldamente intrecciato a tutte le altre utensilerie necessarie alla vita immediata del gruppo...
[ Per affrontare questo tipo di ipotesi è utile tenere presente quanto ne dice Leroi-Gourhan nel testo citato – particolarmente nei paragrafi "Il linguaggio dei preominidi" (pag. 134 seg.) e "La nascita del grafismo" (pag. 221 seg), dai quali riportiamo qui dei brani tra i più significativi: «...fino allo spuntare dell'homo sapiens non esiste nulla di paragonabile all'esecuzione e alla lettura dei simboli. Si può quindi affermare che se, nella tecnica e nel linguaggio di tutti gli Antropiani, la mobilità condiziona l'espressione, nel linguaggio figurato degli Antropiani più recenti la riflessione determina il grafismo. Le tracce più antiche risalgono alla fine del Mousteriano e diventano numerose verso il 35000 a,C., nel periodo di Chatelperron. Compaiono contempora-neamente ai coloranti (ocra e manganese) e agli oggetti ornamentali. Si tratta di file di cupole o di serie di tratti scalfiti nell'osso o nella pietra, piccole incisioni equidistanti che recano la testimonianza dell'origine della figurazione distaccata da una concreta figuratività e le prove delle più antiche manifestazioni ritmiche che sino state espresse: in questi modestissimi documenti non si riesce più a decifrare alcun significato preciso...» (p.222); «.Se c'è un punto sul quale abbiamo raggiunto ormai l'assoluta certezza, è che il grafismo inizia non dalla rappresentazione ingenua della realtà bensì nell'astratto.» (p.224); «... Infatti è solo verso il 30000 che appaiono le prime forme (figg.84-87), limitate del resto a figure stereotipate in cui solo alcuni particolri convenzionali permettono di identificarvi un animale. Queste considerazioni servono a mettere in rilievo il fatto che l'arte figurativa, alle origini, è direttamente collegata al linguaggio e molto più vicina alla scrittura nel senso più ampio della parola, che non all'opera d'arte, E' trasposizione simbolica e non calco della realtà, vale a dire che tra le linee in cui supponiamo di vedere un bisonte e il bisonte stesso esiste la stessa distanza che separa la parola dall'utensile.» (p.225). Certo, la differenza tra la parola e l'utensile è autoevidente, però è anche a noi evidente che entrambi servono per "produrre"... dato che il linguaggio è un mezzo di produzione e non di declamazione... ] ± Quello che intanto a noi qui premeva dire è che prima di avviare ogni elaborazione simbolica è stato probabilmente necessario attraversare un lento processo cerebrale, in associazione con l'organo visivo, per isolare i singoli oggetti dal flusso dei fenomeni esterni (differenziare) [19], istituire e riconoscere “l’in sé” [20] dei vari oggetti del mondo; fissarne ai sensi la forma particolare, la fisionomia precisa, stabilizzarne l'aspetto a memoria, e quindi poi anche... “dargli un nome” (edenico) simmetricamente corrispondente all'immagine, sostitutiva e maneggevole nello spazio come nel tempo... E in questo lungo processo di individuazione dei limiti morfologici delle cose, la simbolizzazione grafica si presentava come quella più pratica, non equivoca e duratura, della simbolizzazione sonora ... Tanto vale per i numeri naturali quanto vale per i nomi delle cose (v. qui, nota 19). Anche per questo l’uomo, contrariamente all’animale, è rappresentato schematicamente, come ha notato Bataille [21]; ma contrariamente alla interpretazione che egli ci offre, tale semplificazione potrebbe attribuirsi al fatto che mentre l'uomo che si rappresenta tutto sommato già si sà, è invece l’altro, la bestia di cui non si sà, quello che va osservato attentamente, studiato, ricordato dettagliatamente nelle sue particolarità e peculiarità, e dettagliatamente disegnato tratto tratto e così ri-conosciuto. A volte quegli animali dipinti o graffiti nelle caverne, sembrano essere dei veri ritratti piuttosto che descrizioni generiche ... E non è detto che alcune linee esagerate siano un apporto ”artistico” e non la particolarissima linea espressiva di quel determinato bisonte, la sua peculiare sagoma. Così la già vista “fisionomia” della preda, fissata nell'occhio del gruppo dei cacciatori che l'avevano scelta per il pasto, la rende più facilmente individuabile dal resto della mandria, e solo su di essa convergeranno i loro sforzi ... E qui è il capovolgimento della prassi che avvia processi di astrazione per sottrarre l’oggetto al flusso delle apparenze fenomeniche rendendolo inorganico e immutabile, privo di tempo e spazio naturali, tratto fuori dalla profondità caotica del mondo per stenderlo già su una superficie piana: immobile e a portata di mano.... Una volta trafitto l’oggetto, astrazione dopo astrazione, anche i richiami primitivi (l’orecchio e la lingua) hanno forse avuto le capacità di sviluppare gli atti fonetici e un linguaggio “descrittivo” - reso ancora più astratto dalla materia impalpabile di cui è fatto il suono (che sarebbe come il sogno dell’occhio)... Presentato cosi l’atto iconico potrebbe essere una procedura canalizzata verso una discretizzazione delle figure del mondo, e quasi un preliminare del tutto concreto (fatto a mano) anche per l'evoluzione dell’atto fonetico e dei linguaggi astratti dell’uomo… ± La magia iconica (e forse il passaggio dell’industria dell’uomo all’Arte per come la possiamo intendere anche attualmente) inizierebbe ad apparire in un momento successivo ad una primissima fase di isolamento degli elementi (oggetti e fenomeni) della vita immediata; e solo quando, ad un determinato livello di conoscenza, si è completata una psicologia sufficientemente unitaria intesa a spiegare (e dunque a stabilire e influenzare) le relazione tra tutti gli elementi corporei ed extracorporei. Ossia, una visione del mondo coerente con l’esperienza passata che si vuole comunicare, assieme con l’esito (informazione e devozione), all’intera comunità, riproducendola in forme sensibili all’orecchio o all’occhio (fonetiche o iconiche)… ± Da parte sua, l’occhio umano (come ogni altro organo sensitivo) si è formato, così com’è, in milioni di anni, duranti i quali ha dovuto raccogliere (in questo proprio evolvere attraverso innumerevoli modificazioni biologiche degli elementi che lo costituiscono) una infinità di informazioni connesse tra loro e dimenticate a memoria, per non doverlo considerare a tutti gli effetti uno strumento di precisione e di acuta previsione; dunque, già di per sé capace di ponderare la realtà fisica immediata, senza alcun bisogno di ricorrere ogni volta alla conoscenza consapevole, cioè alla coscienza.[22] Alcune letture utili Daniel Dennett, L’idea pericolosa di Darwin – pgg. 299-300 : «.In altre parole, in una configurazione siffatta del mondo di Vita abbondano forme reali ma (potenzialmente) affette da rumore, che si possono scovare se soltanto si è abbastanza bravi o fortunati da imbroccare la giusta prospettiva. Non si tratta di forme visibili, bensì, si potrebbe dire, di forme intellettuali. Strizzare gli occhi davanti allo schermo del computer oppure guardarlo da inclinazioni diverse non è di grande aiuto, mentre proporre un'interpretazione fantasiosa (ovvero quella che Quine chiamerebbe “ipotesi analitica”) potrebbe portare alla luce una miniera d'oro. L'opportunità che fronteggia l'osservatore del mondo di Vita è analoga a quella del crittografo che fissa un nuovo pezzo di testo cifrato, oppure il marziano che assiste alla Coppa delle Coppe guardando nel telescopio. Se il marziano imbrocca l'atteggiamento intenzionale – altrimenti noto come psicologia popolare* – come livello al quale cercare le forme, queste emergeranno prontamente in mezzo al rumoroso sgomitio di particelle-individui e molecole-squadre. Quando si adotta l'atteggiamento intenzionale nei confronti della galassia bidimensionale del computer che gioca a scacchi, la scala di compressione è stupefacente: si consideri la differenza tra individuare qual è la più probabile mossa (migliore) del Bianco e calcolare lo stato di alcuni miliardi di pixel per alcune centinaia di migliaia di generazioni. La scala del risparmio nel mondo di Vita in realtà non è però più grande di quanto sia nel nostro mondo. Con l'atteggiamento intenzionale, o psicologico-popolare, è facile prevedere che, se tirerete un mattone a qualcuno, questi si chinerà; il problema è intrattabile, e sempre lo sarà se dovete inseguire i fotoni dal mattone all'occhio, i neurotrasmettitori dal nervo ottico al nervo motorio e così via. Per una capacità computazionale così vasta, si può essere preparati a pagare un prezzo piuttosto esorbitante in termini di errori, ma di fatto l'atteggiamento intenzionale, usato nella maniera corretta, fornisce un sistema descrittivo che permette una previsione di estrema attendibilità non soltanto del comportamento umano intelligente, ma anche del “comportamento intelligente” del processo che è alla base del progetto degli organismi. [* Nota dell’A: Ho introdotto l'espressione “psicologia popolare” nel 1978 (Dennett, 1981, 19870) come nome per la capacità degli esseri umani di adottare l'atteggiamento intenzionale, una capacità naturale, forse addirittura parzialmente innata. Si veda Baron-Cohen (1995) per un affascinante contributo all'attuale stato dell'arte. I filosofi e gli psicologi sono d'accordo su tale capacità più di quanto lo siano sulla mia analisi dell'argomento ... per la mia descrizione, si vedano Dennett, 1987b, 1990b e 1991b.].» Gerald Holton, L’immaginazione scientifica Pestalozzi, Einstein e Hamilton In un capitolo del testo citato di Holton, significativamente intitolato “Per comprendere il genio scientifico”, l’autore non ritiene affatto accidentale il fatto che Albert Einstein divenisse consapevole della forza della sua geniale immaginazione scientifica proprio nel periodo in cui, per prepararsi al suo secondo esame d’ammissione al Politecnico di Zurigo, frequentò la scuola cantonale di Aarau (“un luogo che non soffocava, ma piuttosto poteva favorire, lo stile particolare di pensiero che gli era così congeniale”) che era caratterizzata da molte delle fondamentali direttive indicate dal pedagogista riformatore svizzero Giovanni Enrico Pestalozzi (1746-1827):
La fiducia di Pestalozzi (1746-1827) sulle capacità conoscitive dell’occhio nella visione, sembra potersi connettere in qualche modo inesplicabile alla scoperta fatta dallo scienziato irlandese William Rowan Hamilton (1805-1865), che perveniva ad unificare l’ottica e la meccanica proprio nel periodo in cui le indicazioni pedagogiche dell’Anschauung di Pestalozzi (ancora vivo) esercitavano su tutta Europa la loro influenza riformatrice.
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[1] . Louis-René Nougier, cit. pag. 29 segg. – Ovviamente diamo per acquisite e implicite tutte le considerazioni precedentemente fatte a questi propositi dalla nostra letteratura, e non staremo a ricordarle ogni volta in questi nostri appunti complementari. E’ invece da aggiungere, semmai non è stato già detto, che la mandorla e lo sferoide, che non hanno nessuna utilità se non quella di sviluppare con la loro fattura l’abilità della mano e del cervello ecc., sviluppano e affinano in questo esercizio anche il senso della vista e la visione focalizzandosi durante il lavoro su particolari anche poco evidenti, comunque perfettamente rilevabili ai sensi dalla combinazione della vista e del tatto....
[2] . Wilheim Worringer, Astrazione e Empatia (R. Piper & Co. Verlag, Munchen 1908), ed. Einaudi, Torino 1975, pagg. 35-36. ( nota: Con questo non si intende negare che al giorno d’oggi sia impossibile l’empatia per la forma di una piramide, né per le forme astratte in genere... Ma tutto contrasta con la supposizione che questo impulso di empatia fosse operante già nei creatori della forma della piramide). [3] - Solo recentemente la scoperta dei neuroni specchio ha offerto una base materiale e una teoria per spiegare gli effetti empatici attivati dalla visione... (ne parliamo altrove) [4] . Ibidem, pag. 44. [5] . Ibidem, pag. 36, 38,39. [6] . Ibidem, pag. 39. [7] . Ibidem pag. 40. [8] . Cosa potrebbe essere la sua “voce degli dei” se non i comandi di un istinto (impulso) formulati dall’esperienza immediata del mondo non tanto prima, piuttosto sopra della coscienza del sé? [9] . Worringer, op. cit. pag. 39. [10] . Solo così possiamo emanciparci dalla loro presa su di noi... proprio come si riconosce che il proletariato inglese libererebbe sé stesso liberando quello irlandese... riconoscendolo per sé stesso... [11] . Che per noi (come per l'Illuminismo) non sono altro che manifestazioni particolare dell'uomo industrioso. Così, anche le immagini astratte dalla scienza o dalla tecnica possono offrire un proprio particolare piacere, a iniziare dalla produzione della cartografia, il cui valore estetico non è ancora riconosciuto ma è testimoniato mirabilmente in diversi quadri di Vermeer, per finire a Picabia e Duchamp... La Fisica, ad esempio, sembra prendersi direttamente i propri godimenti estetici e (magari passando dalle astrazioni della geometria euclidea o reimaniana, dall'algebra dei gruppi o delle matrici, dai modelli cartesiani o dalle simmetrie e supersimmetrie ecc.) attingervi anche nuova conoscenza; quasi che la bellezza soddisfatta sia un criterio di verità muscolare detenuto dall'occhio. Ecco cosa ne pensava Paul Dirac: "… è più importante che le equazioni siano belle piuttosto che in accordo con gli esperimenti... Sembra che, se si lavora con il proposito di ottenere equazioni dotate di bellezza, e si possiede un'intuizione davvero solida, si è sicuramente sulla strada del progresso. Se non vi è accordo completo tra i risultati del proprio lavoro e gli esperimenti, non ci si dovrebbe scoraggiare troppo, perché può darsi che la discrepanza sia dovuta a qualche aspetto minore che non è stato debitamente considerato, e che verrà chiarito dagli sviluppi futuri della teoria." (Paul A. Dirac, L'evoluzione dell'immagine fisica della natura (1963); ora in La bellezza come metodo, scritti a cura di Vincenzo Barone, ed. Raffaello Cortina, Milano 2019, p. 76 segg.). [12] . In qualche modo l’arte figurativa moderna e contemporanea ha risolto il dualismo ottocentesco della produzione immateriale per come è stato descritto da Marx negli appunti relativi a Smith e al concetto di lavoro produttivo, per cui la produzione non materiale può produrre merci in una forma indipendente dall’atto del produrle e del consumarle, o produrre cose non divisibili e indipendenti da questi atti; sempre ricordandoci che tuttora “...questi fenomeni della produzione capitalistica in questo campo sono così insignificanti, paragonati all’insieme della produzione, che possono essere completamenti trascurati” (Storia delle teorie economiche, op. cit. pag 396 e seg.). Cfr. anche la nota 2 in L'arte raccontata... nel nømade n.16.2018. [13] . Ghazâlî, Ihyâ’, III, 23. In I mistici dell’Islam, Antologia del sufismo, a cura di Eva De Vitray-Meyerovitvh (1978), Guanda editore, Parma 1928, pag. 33. [14] . Come forse abbiamo già detto, è l’illustrazione del caso in cui uno specchio non è rivolto verso la realtà esterna ma verso l’immagine, per cui l’immagine che esso rimanda è l’immagine dell’immagine, un'immagine al quadrato... [15] . I greci sarebbero qui utilizzati per antonomasia in quanto “astuti”, come Ulisse, e pre-vedenti... o, in quanto bizantini, come iconoclasti? – cfr. iconoclastia calvinista e puritana. [16] . “Appare di fondamentale importanza tener presente la problematica metodologia che si pone per l’interpretazione storico-religiosa delle figurazioni paleolitiche. Qui si sovrappongono due metodi interpretativi, da una parte quello, consueto per l’archeologia preistorica e ottimamente sperimentato, della interpretazione tecnologico-economica, dall’altra il metodo della interpretazione storico-religiosa. Nel primo caso si tratta di ricavare da una testimonianza archeologica le caratteristiche, attitudini e finalità tecniche ed economiche degli uomini che ci hanno lasciata la testimonianza stessa, cosa metodologicamente possibile, giacché ciò che si vuole conoscere si colloca in un rapporto puramente funzionale con ciò che possiamo cogliere empiricamente, ed è quindi possibile fare deduzioni dirette. Diversamente stanno le cose per il secondo metodo interpretativo. Qui si tratta essenzialmente (anche se non esclusivamente) di comprendere il modo specifico, in cui un mondo di credenze religiose, conosciuto attraverso le testimonianze letterarie, si manifesta nelle opere d’arte conservateci, Ci si accorge allora che il rapporto tra il concreto documento figurato e la concezione che gli sta alla base è molteplice, complesso e spesso difficile da individuare, in ogni caso non così direttamente ricavabile dai dati empirici come per l’interpretazione tecnologico-economica.” (Herman Müller-Karpe, Geschichte der Steinzeit 1974, Storia dell’età della pietra, Mondadori 1992, pag. 348). |
[17] . “Anche se conoscessimo direttamente la struttura sociale e la complessità culturale delle società degli uomini di cui restano i fossili, non potremmo trarre delle conclusioni sul linguaggio quale noi oggi lo conosciamo. In queste epoche prevalevano forse tipi di comunicazione diversi. L’esistenza di capacità linguistiche identiche per tutte le razze fa pensare che questo fenomeno debba essere comparso prima della diversificazione razziale”. (Eric Lenneberg, Fondamenti biologici del linguaggio, Boringhieri, Torino 1971, pag. 298.[18] . Ibidem, pag. 293 seg..
[19] . Ibidem, pag. 258 segg., e particolarmente pag. 369 segg.: “... la maggior parte degli animali superiori ha una certa capacità di discriminazione. Entro la prima categoria globale essi imparano o incominciano spontaneamente a differenziare aspetti particolari, forse dirigendo la loro attenzione verso alcuni dettagli oppure affinando il loro potere di osservazione....” (dirigendo l’attenzione… affinando l’osservazione… sembra si stia parlando principalmente dell’occhio e dello sguardo. Al proposito della necessità di discriminare e astrarre tramite l'occhio, ecco qualche altro brano di un testo che si occupa proprio di tutt’altro, ossia di matematica: “ Il concetto di numero (per ora ci limitiamo a parlare dei numeri interi positivi) sebbene ci sia oggi così familiare, si è formato assai lentamente. Ciò si può verificare osservando come contano vari popoli rimasti fino a poco tempo fa a un livello di vita sociale relativamente primitivo. Presso alcuni non vi erano nomi per numeri maggiori di due o tre, dopo i quali essi dicevano semplicemente ‘molti’ o ‘innumerevoli’. In ogni caso un patrimonio di nomi chiaramente distinti per i numeri si è formato gradualmente. In principio queste popolazioni non avevano il concetto di numero, sebbene potessero, a modo loro, avere un’idea di misura di questa o quella collezione di oggetti con cui avevano a che fare quotidianamente. Ne dobbiamo dedurre che il numero era da essi direttamente percepito come proprietà inseparabile di una collezione di oggetti, una proprietà, comunque, che essi non distinguevano chiaramente”. Andando alla nota di fondo pagina, leggiamo: “Infatti ogni collezione di oggetti, da un gregge di pecore a una catasta di legna da ardere, esiste ed è immediatamente percepita in tutta la sua concretezza e complessità. Il fatto di potervi distinguere proprietà e relazioni è il risultato dell’analisi cosciente. Il pensiero primitivo non è in grado di fare questa analisi, ma considera l’oggetto solo nella sua interezza. Analogamente un uomo che non ha studiato musica percepisce una composizione musicale senza distinguervi i dettagli della melodia, della tonalità e così via, mentre un musicista può analizzare facilmente anche un sinfonia complicata”. E ancora, nella nota della pagina successiva, continuiamo a leggere: “Nella formazione dei concetti relativi alle proprietà degli oggetti, quali il colore o la numerosità di una collazione, è possibile distinguere tre stadi, che naturalmente non dobbiamo tentare di separare troppo nettamente l’uno dall’altro. Il primo stadio è quello in cui la proprietà è definita mediante un confronto diretto di oggetti: nero come un corvo, tanti quante le dita di una mano. Nel secondo stadio compare un aggettivo: una pietra nera o, in modo del tutto analogo, cinque alberi. Nel terzo stadio la proprietà nasce per astrazione dagli oggetti e può comparire come tale; per esempio: ‘nerezza’, o il numero astratto ‘cinque’”. E il capitoletto di cui ci stiamo occupando si conclude così: “Ma per scoprire questa proprietà e distinguerla chiaramente, cioè per acquisire il concetto di numero e assegnare ad esso un nome, era necessario confrontare molte collezioni di oggetti. Per innumerevoli generazioni i popoli ripeterono la stessa operazione milioni di volte, e scoprirono così i numeri e le relazioni tra di essi”. (Le matematiche, a cura di A. D. Aleksandrov, A. N. Kolmogorov, M. A. Levrent’ev, 1956. It. ed. Boringhieri, Torino 1974, cap. aritmetica da pag. 8). [20] . “Le figure umane utilizzate nelle capanne [paleolitiche], come pendagli e come offerte funebri, non sono però interessanti solo dal punto di vista psicologico come manifestazioni di un determinato grado di autocoscienza… Non il confronto dell’io con la natura extraumana, ma la nozione del proprio carattere di creatura e il passaggio di un rapporto con la trascendenza, poteva indurre ad una rappresentazione figurata di se stessi, o a farsi rappresentare da altri.” (Müller-Karpe, cit., pag. 358, corsivi nostri). [21] . Cfr. Georges Bataille, Lascaux, la nascita dell’arte, edit. Abscondita, Milano 2014: pag. 115: ”Senza dubbio i magdaleniani, a cui gli aurignaziani probabilmente assomigliavano, ebbero il sentimento di detenere, in quanto uomini e non più animali, il potere e il dominio. Se ottenevano risultati che avevano per loro qualche valore, sapevano di averli raggiunti grazie al lavoro e al calcolo, cosa di cui gli animali sono incapaci. Ma attribuivano agli animali altri poteri legati all’intimo ordine del mondo, che a loro sembrava esercitare una forza incomparabile se confrontata alla spregevole operosità umana. Era dunque opportuno per loro non sottolineare la propria umanità, che esprimeva soltanto il debole potere del lavoro, evidenziando invece un’animalità che irraggiava l’onnipotenza di un mondo impenetrabile: tutta la forza nascosta di questo mondo sembrava superare uno sforzo per loro troppo gravoso.ecc.” (pgg. 115-16). Naturalmente la diversità di rappresentazione si potrebbe interpretare in modo perfettamente invertita: la particolarità descrittiva sottolineata dell’animale esprimeva tutta la potenza e il dominio dell’uomo operoso su di esso, e la rappresentazione schematica dell’uomo la sua capacità di astrazione e penetrazione nel mondo.... si tratterebbe in entrambe i casi di proiezioni e letterature... [22] ... L'occhio... Un sistema "'costruito" per l'osservazione che si "trasforma" in un sistema di controllo e di risposta (che agisce secondo la tecnologia del suo proprio ambiente - vedi l’esempio del lancio del mattone, qui in Daniel Dennett pag.299; ...ma anche il pensiero magico è uno di questi "ambienti" con suoi propri sistemi tecnici...). – E’ inoltre interessante leggere qui sopra anche il paragrafo Pestalozzi, Einstein e Hamilton. [23] . Ian Steward, L’eleganza della verità.Storia della simmetria (2007), Einaudi editore, Torino 2008, pag. 153.
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